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Sulla morte

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1Sulla morte Empty Sulla morte Gio Lug 01, 2010 2:26 am

Phoenix


Ospite

Fin dall'infanzia ci insegnano a non pensare alla morte. Per vivere non bisogna calcolare la morte, altrimenti si è come paralizzati davanti ad un ostacolo invalicabile. Una volta esclusa, ci si sente liberati di un peso insopportabile. Ma come si esclude? Penso che la morte vada a braccetto con la solitudine. Gli animali quando. sentono che il loro momento sta per arrivare si estraniano dal branco e si appartano da qualche parte in attesa di morire. Personalmente quando ero un bambino trascorrevo molto tempo da solo e mi interrogavo spesso sulla morte.. L'avere tutta la vita davanti da la mia unica consolazione: ero sicuro che con la morte arrivasse il 'nulla'. Una schermata scura e silenziosa senza alcuna consapevolezza, mi immaginavo. Poi un giorno mio padre mi parló del paradiso... Ed improvvisamente mi misi il cuore in pace. Ad una certa età ció che dicono i genitori è semplicemente sacrosanto, è la verità, punto. Per la maggior parte delle persone la religione non è altro che una scappatoia: un palliativo per la nostra piú grande paura. Si sente ció che si vuole udire, ovvero che dopo la morte ci sarà un'alta vita, tra l'altro meglio di questa.
Ad un certa età semplicemente abbondoniamo la solitudine: si va a scuola, ci si comincia ad interessare agli altri ed alle varie dinamiche sociali. Bisogna essere bravi, avere degli amici, sentirsi accettati dagli altri, distinguersi per qualche cosa.. In altre parole, impariamo lentamente a dimenticarci della morte. Durante questo processo costruiamo un personaggio in cui arriviamo a confonderci totalmente. Si sa, piú un attore è acclamato dal pubblico, più diviene importante. Lo stesso avviene per noi esseri umani: una volta costruita una personalità, occorre che sia accettata da qualcuno, altrimenti non avrebbe alcun senso: un attore puó essere bravo quanto vuole, ma senza il pubblico che riconosce le sue qualità la sua recita cade nel vuoto, anzi, vale quanto una recita pessima, poichè senza importanza non vi è alcuna differenza.
A questo punto diventa importante essere qualcuno: se un altro individuo ha più visibilità di noi, lo invidiamo perchè ci sentiamo inferiori. tutta la nostra attenzione è concentrata sulla costruzione e sull'ampliamento del nostro personaggio: questa è quella che Don juan chiamava importanza personale. Parallelamente nasce anche la paura di sbagliare: se l'immagine della nostra persona si incrina, ritorniamo al punto di partenza, ci sentiamo con la morte ad un passo. Una volta feci un banale incidente contro la macchina di un mio amico, quelli in cui bisogna mettersi d'accordo sull'assicurazione e su altro cavilli burocratici. Entrai nel panico: l'incontro era stato segreto ed avevo mentito a tutti su dove ero, con chi ero e cosa facevo. A causa dell'incidente avrei dovuto rivelare a chi mi stava vicino la veritá: provai in tutti i modi ad insabbiare la cosa prima di arrendermi alla necessità. Il problema era che dovevo uscire dal personaggio, uscire allo scoperto, rivelare che avevo fatto una cosa che andava al di lá di ció che la gente, dunque io, pensavo di me stesso. E tutto questo per una banalità allucinante.

Credo che per continuare a crescere, occorre uscire dal personaggio. Non dico distriggerlo, non avrebbe senso: "semplicemente" smettere di essere attaccato ad esso. Bisogna ritornare a pensare alla morte, in maniera cruda, senza illusioni che mitighino questa paura primordiale: del resto di fronte alla morte siamo tutti uguali. Quando ci sentiamo indignati, riteniamo che qualcuno ci guardi dall'alto in basso, oppure invidiamo chi possiede un personaggio più interessante e popolare del nostro, basta pensare: di fronte alla morte questa è soltanto polvere. Arriverà il giorno in cui il teatro e la recita umana verrano semplicemente azzerati. Vista la situazione, non rimane altro che lottare lottare per sfidare la morte. Tutto il resto è noia.

2Sulla morte Empty Re: Sulla morte Gio Lug 01, 2010 11:29 am

coincide


Ospite

Ciao...penso che prima di essere "liberi" (libertà intesa non come una identità o un posto bensì come uno "stato d'animo") si dovrebbero usare gli stessi strumenti cognitivi (che non si possono distruggere in questa forma umana..che pretende un "personaggio"), che ci attanagliano nell'odierno "personaggio" dal quale cerchiamo di evadere, per forgiarne "un altro" che ci aiuti ad evolvere verso il "senso" utile alla condizione che ci auspichiamo per raggiungere o essere raggiunti dal "silenzio" .
Alcuni dei guerrieri citati nella mirabile epopea di Carlos Castaneda erano sacrestani ad esempio perchè tale "personaggio" ,vicino ad una vita ascetica e umile quale quella cattolica, permetteva loro di accumulare + energia e di "forgiare" meglio la propria volontà .... (una sorta di contesto/agguato verso noi stessi che ci aiuti a perseguire "l'intento")....
il punto è che parole come vita ascetica, povertà, umiltà, digiuno etc. .. ci fanno ancora paura e tendiamo a razionalizzare concetti già fin troppo metabolizzati perchè in realtà temporeggiamo essendo ancora abbastanza radicati nel consueto "personaggio" dal quale cerchiamo di.. in pratica è come se avessimo i denti per masticare la "libertà" (e ce li abbiamo questi strumenti o meglio li abbiamo idealizzati) ma li nascondiamo a noi stessi perchè .. bè la consuetudine la fa da padrona .
e questo discorso vale anche e soprattutto per me Wink

3Sulla morte Empty Re: Sulla morte Ven Lug 02, 2010 10:41 pm

Nic


Ospite

Ciao, molto interessante questo post.
Credo che "il personaggio" può esistere solo fino a quando si continua a credere di vedere la realtà.
Quando si inizia a capire che gli altri non sono più altri, che il fuori non è più diverso dal dentro, che il qui comprende anche il là... quando si Conosce che questa è solo una visione del mondo, un sogno della realtà. Sei tutto e sei nulla...

Dov'è lo spazio per l'importanza personale?

4Sulla morte Empty Re: Sulla morte Lun Lug 05, 2010 2:35 pm

coincide


Ospite

Dov'è lo spazio per l'importanza personale ?

Ciao, quel "personaggio" anche se fa parte del "tonal" , di quelle regole del "gioco" di questa società...di questa percezione ordinaria, anche se è il ns. "secondino che ci controlla nella ns. cella"..pensa per un attimo che fuori "il carcere" c'è "l'ignoto" e nell' ignoto c'è di tutto, c'è lo stupore/meraviglia ma c'è anche il terrore . l'ignoto ha a che fare con la libertà è vero , ma durante la "preparazione" a "metabolizzarla" questa libertà, credimi, c'è bisogno di "un'uscita di sicurezza".... e quale credi che sia?
Quell'uscita di sicurezza è proprio "il personaggio" di cui stiamo parlando... è il tonal .. il ns stesso aguzzino .
Per questo (e non solo) dico che fino all'ultimo abbiamo bisogno di questa "facciata" di questa "copertura"...però è anche vero che possiamo ripulirla seguendo un criterio semplicissimo: dev'essere un identità che non ci metta nella condizione di sperperare preziosa "energia" (ovviamente il concetto è semplice mentre la pratica è da "guerrieri" Wink ) .
Ho sempre ammirato individui come gli yogi indiani, gente che vive un ermetismo selvaggio, gente che attraverso la solitudine e l'estraniarsi dalla società, fa i conti prima con la follia e dopo con la sopravvivenza alla propria follia , ma sappiamo cosa significhi "follia controllata" ; loro attraverso questo "percorso estremo" raggiungono facilmente stadi di percezione inimmaginabili ma con la stessa facilità si espongono a tutti quei pericoli insiti nell'ignoto...tipo: "chi non ha un nome diventa casa per gli spiriti" ed io non voglio essere servo ne' di questa societa' ne di nessuna "entità occulta" al massimo posso collaborare con le stesse se ho abbastanza "potere personale" ... e nemmeno dei postumi di ciò quando i miei piedi non calpesteranno + questa terra!
Poi ho conosciuto "l'agguato" di Carlitos e ho capito che c'è un'altra possibilita'... continuare a vivere in quel "carcere" a contatto con gl'altri "detenuti" (che magari nemmeno si pongono il problema di essere carcerati) xkè è in mezzo a ciò che ci opprime la vera "prova" da sostenere ogni giorno, xkè so ke i miei compagni di cella altri non sono che espressioni della mia vulnerabilità e in mezzo a loro ho la possibilita' di osservare meglio "i miei difetti" per poterli correggere e per poterli domare ogni volta che si presenteranno astuti a volermi compiacere...puoi' prendere questa metafora, cambiarne luogo e personaggi e ambientarla nell'ignoto . anche nell'ignoto ci sono secondini (che vogliono essere tali su di noi) e compagni di cella, il punto è ke bisogna avere "un'attenzione" preparata ed evoluta per sapere osservare meccanismi a noi incomprensibili per poter cogliere le ns. "vulnerabilità e pregi" in territori inesplorati aldilà dell'ordinario...OSSERVARE / COMPRENDERE / SOPRAVVIVERE .

c'è differenza tra "pasienza" ed "evoluzione" ?

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